Sul set di Suburra, la prima serie Netflix italiana

Abbiamo visitato il set dove si sta girando la serie tv tratta dal film. E tutto quello che vi succede, gli intrecci tra politica, criminalità e Vaticano, è come se fosse successo (o potesse accadere davvero)

Ci sono tre mondi che comunicano e si relazionano dentro Roma per mantenere viva la propria fetta di potere: criminalità, politica e chiesa”. Non è chiaro se parli della finzione o della realtà Andrea Molaioli, regista assieme a Michele Placido (che della serie è anche showrunner) e Giuseppe Capotondi della serie tv Suburra, il primo prodotto originale Netflix italiano, ambientato nel 2008, 4 anni prima rispetto al film di Stefano Sollima (già showrunner di Romanzo Criminale e Gomorra) .

Dietro tutto però c'è il romanzo omonimo di De Cataldo e Bonini che ora viene adattato per la tv con la supervisione alla sceneggiatura di alcuni degli scrittori che diedero vita alla serie Romanzo Criminale (con l’aggiunta non trascurabile di Nicola Guaglianone, cocreatore di Lo chiamavano Jeeg Robot). A produrre infine c’è Cattleya, la stessa società che ha dato vita alla serie sulla banda della Magliana e poi a Gomorra. Insomma le carte sono mescolate ma gli ingredienti rimangono quelli della tv di qualità italiana di questi anni.

La stessa location in cui** Netflix** ci ha invitato per assistere alle riprese è un luogo nel centro di Roma con una storia da Suburra, Palazzo Spada: un edificio con un passato di famiglie facoltose, potere politico e influenze papali, che ora è sede del Consiglio di Stato.

Come il film anche la serie di Suburra racconta l’incrocio tra potere ecclesiastico, politico e criminale a Roma “l’unico posto al mondo in cui questi tre poteri condividono gli stessi metri quadrati”, spiega Andrea Molaioli, “la nostra è infatti una serie di incontri nei corridoi, una in cui queste entità si scontrano di continuo. Altrove questo tipo di racconto proprio non potrebbe esistere”. Che poi è la politica di Netflix nella produzione di contenuti: storie locali confezionate per un audience mondiale.

In scena abbiamo visto Claudia Gerini, revisore dei conti della commissione vaticana, sposata molto bene con la Roma che conta (quella nobile e agganciata) che nei corridoi del palazzo attende qualcuno. C’è qualcosa che sta accadendo, tutti sono molto preoccupati ma, dal dialogo scambiato, è evidente che non se ne può parlare così, in pubblico. Chi sia il suo personaggio lo spiega la stessa Gerini: “Ha un percorso in testa: vuole entrare a far parte di una certa cerchia, di una certa Roma, probabilmente è entrata nel Vaticano proprio per questo e di conseguenza è una donna in vista, proprio perché una delle poche riuscite ad arrivare in quei luoghi. Ad averla aiutata è la famiglia del marito che tra gli avi ha anche dei papi ma lei è una intelligente, che sa il fatto proprio, capace di muoversi tra i segreti. Una che ha imparato presto che chi sa non dice e chi dice non sa”.

Nella serie tornano molti personaggi visti nel film più alcuni nuovi. Ci sarà ovviamente il samurai, ovvero il personaggio ispirato a Carminati, l'ex Nero della Banda della Magliana, e quando si ventila un possibile crossover tra serie (Romanzo e Suburra) il produttore Riccardo Tozzi risponde: “Eh ma noi lo conosciamo bene quel personaggio, tra film e serie tv lo abbiamo ucciso almeno 3-4 volte”.

Stavolta il Samurai non è però interpretato da Claudio Amendola, ma da Francesco Acquaroli con la medesima inflessione romana ripulita, i medesimi occhiali e la medesima calma, è lo stesso attore a dirlo: “Samurai è considerato da sé e dagli altri il re della criminalità e passa la vita a tessere e gestire le forze in campo, forze spesso in contrasto tra loro. È affascinante nella sua solitudine. Al di là dell’anziana madre ha solo rapporti di lavoro. Giorno e notte. Tant’è che ha difficoltà a dormire, è un continuo stare appresso a piccole e grandi tempeste che gli si presentano davanti per portare a termine questa grossa operazione criminale mettendo daccordo tutti. Basta che uno solo non sia daccordo che tutto salta. Lui ha questa responsabilità eppure la sua vita non gli metta ansia, anzi è molto tranquillo”.

Tornano anche gli Anacleti, una delle invenzioni visive migliori del film, la famiglia mafiosa zingara, strozzini in origine e ora in cerca di business più ampi, la versione di finzione dei veri Casamonica. Tra le loro fila emerge Spadino, solo uno dei tre giovani criminali della serie. L’altro è Gabriele Marchini, ragazzo della Roma bene, ambizioso e determinato, spaccia, organizza feste, ha un padre poliziotto che vuole scavalcare ma desidera appartenere ad un gruppo più grande per definire se stesso.

Infine torna Numero 8, il rampollo della famiglia criminale di Ostia interpretato qui, come nel film, da Alessandro Borghi. Questi tre personaggi, secondo il regista Molaioli, hanno molto in comune: “Numero 8 è una testa matta che vuole affrancarsi dalla propria famiglia e quindi trovare una definizione più precisa di se stesso. L’altro, Spadino, cioè Alberto Anacleti, sente anch’egli il peso della famiglia. Sono personaggi che si evolvono durante la serie, come se per ognuno ci fosse un racconto di formazione”.

Più in grande però sembra che in Suburra, che ha un altro tratto in comune con Romanzo Criminale e Gomorra ovvero il fatto di essere una serie corale, tutti abbiano qualcosa dietro di sé da cui liberarsi, lo spiega sempre Molaioli: “Tutti i personaggi hanno un background da cui affrancarsi, sia la famiglia o il contesto di provenienza. I tre personaggi principali, Spadino, Lele e Numero 8, sono tutti esseri che vogliono liberarsi dal loro passato ed emanciparsi. Lo vogliono fare tramite la ricerca del potere, che è la parola che unisce tutti quanti, il potere come rivincita nei confronti del proprio passato. In fondo vale anche per il Samurai”.

L’interrogativo più grande è quanto ci sarà in questa serie di vero. Il film metteva versioni finte di personaggi veri in una storia inventata (creare una Las Vegas ad Ostia) qui invece, spiega Molaioli: “È tutto falso ma credibile perché è o accaduto o è, come dire... accadibile, se esiste come termine. Tutto quello che si muove nella drammaturgia ha origine in fatti avvenuti ma è adattato e modificato per la nostra narrazione per renderla avvincente e stimolante”.

Più deciso il produttore Tozzi: “Diciamo che tutto quello che succede potrebbe essere successo, qualcosa è proprio successa, ma niente è successo nel modo in cui lo raccontiamo”.

Proprio a lui che ha prodotto Romanzo Criminale e Gomorra va l’ultima parola sul rapporto che esiste tra cinema e queste serie tv di qualità che esportiamo molto all’estero e gareggiano con i più grandi prodotti internazionali: “Per girare nel mondo devi stare al medesimo livello degli americani, dei loro valori produttivi, tecnologici e visivi. Non a caso questa serie è girata in 4K. Ma a parte questo credo che nonostante non riusciamo ad esprimere qualità al cinema [Cattleya produce anche film ndr], abbiamo direttori della fotografia, montatori, scenografi e una cultura cinematografica che non solo non ha niente da invidiare al mondo ma può insegnare molto a tutti. Inoltre noi, a differenza degli altri paesi, anche in tv mettiamo il regista al centro di tutto, gli diamo un altro valore ed è un lavoro che facciamo solo qua perché ci viene naturale per la tradizione che abbiamo. In America si dice proprio che una volta che hai la sceneggiatura, il set e gli attori, 'chi ha bisogno di un regista?', noi invece abbiamo un’altra testa”.